Mostra collettiva chaos – Museo Vestfossen Oslo

Anno: 2018

 

Nel mio lavoro parto da un segno, un minuscolo pittogramma, riconoscibile nella figura stilizzata di un guerriero che ripeto ossessivamente, fino a realizzare una scrittura illimitata, che ricopre l’intera superficie della tela.

Osservando una mia opera si ha l’impressione che i segni-guerriero risultino, se non “troppi”, sicuramente “di troppo”, scarto, rifiuto, come infiniti messaggeri ritardatari, portatori tutti di un medesimo messaggio, già consegnato al destinatario a suo tempo, e ormai non più utilizzabile. Tutti messaggeri di un tempo scaduto.

Potrei definirmi uno scrittore di una sola parola, o il pittore di un solo segno, che semino nel campo della pittura alla stessa maniera di un monaco zen quando coltiva il suo campo di sabbia.

Tutto parte nel mio lavoro, dal solo significante stenografico del guerriero, ripetuto come un mantra, che taglia corto con la comunicazione e con ogni tentativo ermeneutico d’interpretazione.

Il linguaggio, ridotto ai minimi termini, si fa circolare.

Il segno non rimanda ad un diverso segno, si concentra tutto su se stesso e, nella ripetizione, trattiene il proprio orizzonte di senso.

La risposta, sembra concentrarsi tutta nella domanda. La festa, nel rimanere fedeli al solco concentrico della pratica.

E’ un circolo vizioso, il lavoro sembra risucchiato in un vortice epistemico, in un corto circuito della lingua che rimanda al grido inarticolato delle origini, e al termine delle sue presunzioni dialogiche.

Non più un segno-freccia, alla ricerca di un significato-bersaglio, sempre posto nel grande Altro della Lingua, ma un segno-gong, eco e rimbalzo del proprio destino.

Al Kunstlaboratorium di Vestfossen presento un grande altorilievo forato, superficie in tela bianca e fondo di metallo nero. In questo lavoro il segno si presenta come una sottrazione, una traccia bucata, non ostenta il proprio pieno, ma si mantiene in sospensione, vuoto.